12 Settembre 2025, Morondava, Madagascar.
Abbiamo deciso di rimanere a Morondava per due motivi.
Il primo, volevamo vedere l’Allée de Baobabs all’alba e al tramonto.
Dicono che all’alba ci siano meno persone e quando arriviamo, in anticipo di 45 minuti rispetto al sorgere del sole, c’è una macchina sola al parcheggio. Chiediamo a Tsiva dove si trova il laghetto e ci indica un posto nascosto nel buio.
Camminiamo come con gli occhi bendati. Ci fidiamo di lui.
Nel buio vediamo una grande pianura, delimitata da spalle di terreno. Siamo arrivati al lago ma è vuoto, nella stagione secca i ristagni d’acqua evaporano.
Installo il cavalletto sul terreno polveroso, assicuro la macchina all’estremità superiore e faccio scorrere il dito sulla rotella delle impostazioni. Voglio scattare una foto con la lunga esposizione, così da poter avere una foto chiara, anche senza luce. Spero che non passino macchine a illuminare la strada con i fari, ho bisogno di tutto il buio che posso avere.
Lascio la macchina fotografica in posizione e mi guardo intorno, le figure dei baobab si allungano nel cielo scuro. Comunque non così scuro da coprirne i profili.
Alzo lo sguardo fino ai rami più alti e lì dietro spuntano fiere decine, anzi no, centinaia di stelle. Non le ho mai viste chiare come oggi. Ho sempre creduto che chi predicava di riuscire a scovare le costellazioni si vantasse di un talento mistico, fino ad oggi. Si vede chiaramente che gruppi di stelle sono allineati a formare figure geometriche più o meno distinte.
La macchina fotografica si accende e sullo schermo appare la diapositiva degli alberi illuminati, sullo sfondo una luce calda e aranciastra che infuoca il contorno dell’immagine. Anche se ad occhio nudo non si direbbe, l’alba ha già iniziato a fare il suo corso.
La fotografia mi ha insegnato specialmente questo: abbi pazienza, abbi fiducia, lascia scorrere e attendi. Anche se non lo vedi subito, immediatamente, ad un certo punto apparirà.
Dopo pochi minuti inizia l’alba visibile, lentamente rende l’atmosfera sempre più accogliente e si iniziano a intravedere i primi protagonisti del mattino.
Alcuni uomini sono sui carri trainati dagli zebù, e li classifico come i soggetti migliori da fotografare tra il lungo viale di baobab.
In rari casi, sempre e solo gli uomini, possiedono una bicicletta e sfrecciano nel viale lasciando indietro tutti quelli che arrancano dietro, in marcia sulle loro gambe.
Ci sono uomini che, a piedi scalzi sulla terra, portano con sé galline, tenute dalle zampe tra le dita delle mani. Trasportano falci e picconi con cui si dirigono verso i campi a lavorare e indossano quasi tutti mantelle colorate le cui estremità coprono una spalla lasciando l’altra scoperta.
In molti corrono per coprire in minor tempo le lunghe distanze.
Le madri portano i bambini piccoli nei foulard legati sul busto, mentre quelli più grandi camminano al loro fianco alternando passi, a giochi, a balli tradizionali.
Chiedo a Tsiva se qui ci riporta anche stasera, ho bisogno di rivedere questo posto.
“Madame, però vi devo avvisare. Non sarà così magico stasera”, mi risponde.
“Al tramonto, intendi?”, chiedo non sapendo a cosa alluda.
“Esatto”, dice. “Vedete il fondo del laghetto? Ora è vuoto ma stasera sarà pieno di gente, non ci sarà spazio per camminare”.
Il fondo del lago, ora prosciugato, era ancora vuoto e nell’aria aleggiava solo un quieto silenzio.
Il secondo motivo, a questo punto meno rilevante, ho trentotto di febbre e moltissimo bisogno di riposare.